Le case vuote a Chiusi sono tante, lo sanno tutti. Ma quante sono nessuno sa dirlo.
Eppure è alle porte il nuovo Piano strutturale e il dato sul patrimonio edilizio inutilizzato non dovrebbe essere ininfluente nelle decisioni che si andranno a prendere.
Il rischio di ricadere nelle stantie polemiche è più che reale; da una parte quelli della “crescita” e dall’altra quelli della “conservazione” dell’esistente.
Perchè non ci si limiti ad un confronto ideologico da muro contro muro per poi trincerarsi dietro le “scelte tecniche” è utile esprimersi e far capire in che direzione si vuole andare.
La Chiusi che conosciamo oggi viene da decenni di crescita edilizia impetuosa (soprattutto allo scalo) e che solo nell’ultimo decennio pare aver rallentato la folle corsa.
Siamo arrivati alla paradossale situazione che ci sono ancora 1.200.000 metri cubi da costruire (20 aree come quella della fornace per intenderci), residuo del vecchio Piano regolatore dei primi anni ’70 del secolo scorso. Con una disponibilità di questo tipo è ragionevole attaccare nuovo terreno agricolo?
Sel, prima della campagna elettorale si pronunciò per “metri cubi zero” (oltre quelli previsti dal vecchio piano) ma ora, avvicinandosi il momento delle scelte quella posizione pare svanita.
E veniamo alle case vuote. E’ ovvio che sono la risultante di dinamiche socioeconomiche sviluppatesi soprattutto negli ultimi anni e che hanno portato, chi se lo poteva permettere, a spostarsi dal centro storico e dai condomini dello scalo verso le “villette a schiera” cresciute sulle colline di Chiusi o nella vicina Città della Pieve.
Ma il dato di un enorme patrimonio inutilizzato resta sul tappeto. E’ saggio non affrontare la questione? Quale migliore occasione del nuovo Piano strutturale per affrontare il problema?
Il fenomeno è comune a tutta l’Italia e nella nostra regione, secondo gli ultimi dati disponibili, ci sono 90.000 case vuote. Quarantacinque su cento. Un’enormità. E’ chiaro che non tutte le case vuote lo sono per la stessa ragione. Ma l’enorme questione di un riutilizzo è di fronte a tutte le amministrazioni locali.
Pensiamo di continuare a svuotare i centri abitati e spostarci “sulle colline”, facendo moltiplicare i cartelli di vendesi e affittasi? Quale paese abbiamo in mente (sia dal punto di vista abitativo che da quello produttivo)?
Senza rispondere a queste domande temo che anche questa opprtunità andrà sprecata.
Aspettiamo le comunicazioni che il sindaco ha annunciato per il prossimo Consiglio comunale, facciamo passare anche ferragosto, poi però sarà necessario cominciare a discutere pubblicamente della Chiusi del futuro.
L’unica cosa che non vorrei sentir ripetere è la rancida espressione “sviluppo compatibile” che ci perseguita da oltre un decennio e in nome della quale sono stae fatte passare le peggiori nefandezze.
Nel mese di ottbre del 2010 pubblicammo su Primapagina un servizio sui tanti cartelli “Vendesi” e “Affittasi” affissi sulla saracinesche dei negozi, su portoni e sulle finestre delle case… Ne contammo una cinquantina solo a Chiusi Scalo e una ventina a Chiusi Città… Qualcuno disse che era la solita “propaganda disfattista”, quella che “denigra il paese”. Qualcuno mandò addittura degli “emissari” a chiedere ai proprietari di staccare quei cartelli… Quasi a voler dimostrare che l’informazione era “esagerata” (in ogni caso avevamo le foto), che il problema erano i cartelli, non le case e i negozi sfitti e chiusi… Personalmente sollevai il problema anche ad una assemblea pubblica pre elettorale… e qualcuno si risentì anche in quella occasione… Se la politica, i proprietari degli immobili, la classe impenditoriale, si limita a fare come lo struzzo e a non voler vedere… che cosa ci si può aspettare?
Luciano abbiamo pubblicato in contemporanea due articoli che in ‘parte si sovrappongono. Diciamo la stessa cosa partendo da due punti di osservazioni diversi: tu dai cartelli di vendesi e affittasi che si vedono ovunque, io dai dati pubblicati dal comune nel quadro conoscitivo sulle autorizzazioni di nuovi edifici. Volumi assai lontani comunque da quelli che girano sulla famosa bozza apocrifa. Ma anche quei nuovi volumi autorizzatti son o stati capaci di aggravare il fenomeno che tu denunci.
Partendo da questa analisi che individua bene i termini, va ribadito che la discussione su questo argomento di importanza “centrale”, dovrebbe coinvolgere in modo profondo tutta la cittadinanza con diverse iniziative di studio e di indirizzo, in poche parole di “partecipazione”.
Quanto allo “Sviluppo compatibile”, questo dovrebbe essere parente prossimo dello “Sviluppo sostenibile”. Se i numeri del patrimonio edilizio inutilizzato sono così grandi, è evidente – in un territorio ristretto come il nostro – che diventi “in-sostenibile” costruire una città parallela, con tanto di nuovo Stadio come ciliegina sulla torta. (A proposito, i soldi per pagarlo ci sono oppure no?) Anche perchè alle case vuote corrispondono molti esercizi vuoti – capannoni, laboratori, negozi – e quindi tutto questo ha già delle grosse ripercussioni sull’Idea di Città che si vuole perseguire. A proposito, ma quale è questa Idea complessiva di Città e di Territorio che dovrebbe essere la linea guida per riorganizzare funzionalmente il territorio? La costruzione di case è fine a se stessa oppure è il tassello di un più vasto progetto di rilancio del territorio?