Nel 1552 i reggitori della repubblica di Siena fecero sapere al re di Francia Enrico II che sarebbero passati volentieri al suo servizio, purché li avesse aiutati a liberarsi degli spagnoli che occupavano la città e difesi dalle mire espansionistiche di Firenze e del suo signore Cosimo I De’ Medici. Enrico II accettò e ben presto le truppe francesi, con a capo il comandante Lanssac, occuparono Siena liberandola dai soldati spagnoli al servizio di Carlo V. L’ imperatore, a seguito dell’affronto, decise che si sarebbe vendicato a qualunque costo dell’onta subita a causa dell’accordo che i senesi fecero con il re francese.
Dopo aver unito le sue truppe a quelle fiorentine di Cosimo I De’ Medici, tentò, senza successo, l’assalto alla città di Siena. Il colpo di mano non ebbe buon esito, ma i due eserciti riuscirono in ogni modo a seminare dietro di loro morte e distruzione su tutto il territorio senese. Dietro a questo tanto soffiare di venti di guerra s’imponeva per Siena il rafforzamento delle fortificazioni dei paesi che facevano parte della sua giurisdizione. Nel novembre del 1552 venne a Chiusi, inviato dai priori della repubblica, il famoso architetto Giovan Battista Pelori, che disegnò le nuove fortificazioni di cui la città si riteneva avesse bisogno.
Tali opere di difesa militare furono costruite soprattutto nella zona dei giardini pubblici, chiamati ancora oggi, non a caso, “I Forti”. La spesa per la realizzazione dell’opera non fu esigua, tanto è vero che per reperire il denaro occorrente il Consiglio generale di Chiusi si vide costretto ad imporre nuove tasse (1), chiedere prestiti ai cittadini più ricchi e mandare ambasciatori a Siena per supplicare i signori di Balìa (2) che elargissero un cospicuo contributo. Molti delegati ancora, però, dovettero inviare i chiusini prima di vedere esaudite le loro richieste. Solo nel dicembre del 1553, infatti, i senesi dettero il loro assenso.
Non erano però soltanto queste le spese da sostenere per la povera Chiusi: le truppe franco-senesi si erano acquartierate in difesa della città e pertanto pretendevano di essere mantenute. Per fortuna che ogni tanto fornivano anche prove di valore. Sempre nello stesso anno, il 1553, il comandante della piazza di Chiusi, Capitano conte Paolo Orsini da Pitigliano, uscì dalle mura con una sua compagnia ed ingaggiò una battaglia con alcune truppe di cavalleggeri di Carlo V, che tentavano di occupare la campagna chiusina.
Rientrarono vittoriosi dopo aver fatto prigionieri trenta uomini a cavallo e con la perdita di un solo soldato e tre feriti. Il 7 gennaio del 1554, Piero Strozzi divenne comandante delle truppe francesi in Siena e pochi giorni dopo, visitando il dominio senese per rendersi conto della situazione strategica, giunse anche a Chiusi. Ordinò nuove fortificazioni e questa volta, oltre ai mille scudi promessi, inviò immediatamente anche 50 prigionieri per impiegarli nei lavori. La guerra era ormai alle porte, le truppe imperiali e quelle fiorentine di Cosimo I stavano per attaccare: lo fecero il 26 gennaio.
Nello stesso giorno, mentre il comandante Marignano tentava di assalire Siena, Ridolfo Baglioni cercava di fare la stessa cosa a Chiusi. Il tentativo fallì ed il Baglioni fu respinto con gravissime perdite. Cosimo dei Medici però non si dette per vinto e volle riprovarci ancora nei primi giorni di marzo. Questa volta servendosi di un personaggio considerato molto più astuto che valoroso e che per Chiusi rappresentava il suo nemico giurato numero uno: il marchese di Castiglione del Lago, Ascanio Della Cornia (3).
Giunse quindi la notizia che una grossa guarnigione di milizie, formata da tremila fanti e duecento lance, con a capo il signore di Castiglione del Lago, aveva dato luogo ad una serie di scorrerie per tutta la Val di Chiana ed era riuscita a forzare anche il ponte di Valiano, dove vi era un consistente presidio della repubblica senese. In un primo momento il comandante della fortezza di Chiusi, Giovacchino Guasconi, ed il suo vice, Santi Borri da Cutigliano, fuoriuscito pistoiese, detto Santaccio da Pistoia (4), avevano sperato si trattasse di qualche azione militare di disturbo.
Ben presto invece si resero conto che si trattava di un’operazione più impegnativa. L’intenzione di Ascanio Della Cornia era quella di interrompere l’arrivo delle vettovaglie verso Siena e di impossessarsi delle fortezze della zona. Nel frattempo anche Asinalonga (Sinalunga) e Torrita erano cadute. I fuggiaschi dai paesi limitrofi oggetto delle incursioni, raccontavano di molte decine di morti e numerose case coloniche date alle fiamme. In risposta a ciò vi furono molte uscite delle milizie dalla rocca chiusina, che inseguendo le truppe fiorentine, ogni volta le ricacciavano oltre il confine.
A questo punto però, entrò in giuoco l’astuzia di Ascanio Della Cornia, al quale venne in mente di avere la fortezza di Chiusi per tradimento. Il marchese di Castiglione del Lago aveva alle proprie dipendenze un certo Bati Rospigliosi, anch’egli di Pistoia. A questi il marchese ordinò di trattare con Santaccio, da lui già conosciuto, offrendogli la revoca del bando da Pistoia, se avesse dato loro la possibilità di entrare segretamente all’interno di Chiusi. Il nome di Santaccio a quel tempo era sinonimo d’imbrogli e d’inganni, non per nulla godeva fama di uomo fiero, spietato, ma anche molto propenso ad ogni forma di tradimento.
Il Rospigliosi riuscì ad avere un colloquio con Santaccio e dopo avergli proposto una bella somma in denaro, il rientro in possesso di tutti i beni e le terre sequestratigli dai Medici, oltre naturalmente alla revoca del bando, riuscì a strappargli la promessa di far entrare di nascosto nel castello chiusino le truppe imperiali. Le trattative si protrassero per alcuni giorni e alla fine i due convennero che l’azione era da farsi nella settimana prima della Pasqua, durante la notte tra il giovedì 22 ed il Venerdì Santo 23 marzo.
A questo punto, Santaccio sparì da Chiusi per ricomparire alcuni giorni dopo, in compagnia di Giovacchino Guasconi e del Capitano Flaminio Orsini dell’Anguillara, comandante delle truppe francesi, venute da Radicofani e San Quirico per dare manforte alle truppe franco-senesi di stanza a Chiusi. Egli si era recato a Siena per riferire ai reggenti della repubblica della proposta di Ascanio Della Cornia, fattagli per mezzo di Bati Rospigliosi. Piero Strozzi ebbe per lui parole di elogio e gli ordinò, come del resto Santaccio aveva già deciso, di fingere di accettare.
Gli ultimi dettagli per l’ingresso in città delle truppe imperiali, furono quindi pattuiti con il marchese di Castiglione del Lago: a Santaccio non sarebbe rimasto altro da fare che aprire le porte della fortezza al momento del segnale convenuto. Ascanio Della Cornia tolse le tende dai pressi di Gracciano, dove era accampato, e passata la mezzanotte, sotto un tremendo temporale, s’incamminò con le proprie truppe in direzione di Chiusi. Dopo alcune ore di marcia giunsero al ponte del Passo alla Quercia, lo attraversarono e quando ritennero di essere in vista della rocca di Chiusi, si nascosero in attesa del cenno di Santaccio per proseguire.
Il tempo passava inesorabile. Mancava meno di due ore all’alba, ma del segnale convenuto non si vedeva traccia. Il della Cornia allora inviò dal Borri due uomini: il capitano Federigo degli Oddi e Alessandro da Città della Pieve, informandolo che voleva urgentemente colloquiare con lui. Passò ancora del tempo e non vedendo ritornare nemmeno gli ambasciatori, Ascanio spedì una squadra di circa venti soldati. Questi riuscirono ad introdursi all’interno della rocca passando da una porta secondaria, lasciata aperta dai chiusini per trarli in inganno.
Appena ebbe varcata la soglia, la truppa fu investita da un violento colpo di spingarda caricata a piombo. Immediatamente, per tutto il perimetro delle mura della fortezza, furono accesi dei fuochi, ma non erano i segnali convenuti con Ascanio, bensì quelli per le truppe francesi. Le quali, scendendo dai pendii della collina antistante, dove si erano nascoste in precedenza, colsero di sorpresa le soldatesche imperiali, distruggendole quasi totalmente, dopo un breve ma aspro combattimento. Il marchese di Castiglione del Lago fu fatto prigioniero e subito inviato a Siena insieme a circa quattrocento dei suoi soldati.
“La Pasqua di sangue chiusina”, fu per Cosimo I De’ Medici un brutto scherzo, che gli creò notevoli problemi nei confronti dell’imperatore Carlo V. I chiusini, dopo il successo ottenuto, proposero in Consiglio Generale di costruire sulla sommità di Montevenere una chiesa intitolata alla Madonna della Vittoria, ma data la miseria che regnava sovrana sulle casse della comunità, questa rimase solo una proposta.
La vittoria delle truppe franco-senesi a Chiusi, non dette però grandi risultati. Fu vanificata dalla calma con cui gli ufficiali del re di Francia, Enrico II, organizzarono successive azioni contro le guarnigioni fiorentine ed imperiali e dalla significativa disfatta subita da Piero Strozzi, il 2 agosto successivo a Marciano.
Lo Strozzi, ferito gravemente, si rifugiò a Montalcino, lasciando il comando di Siena al capitano francese Biagio di Monluc. A pochi mesi di distanza, esattamente il 17 d’aprile del 1555, anche l’ufficiale francese, insieme al capitano del popolo Mario Bandini e molti altri nobili senesi con le proprie famiglie, lo raggiunsero: Siena era caduta in mano ai suoi nemici. Da lì a poco, sempre a Montalcino, sotto la protezione della Francia, fu costituita la Repubblica senese in Montalcino, alla quale Chiusi rimase fedele fino alla definitiva conquista dello stato di Siena da parte di Cosimo I De’ Medici.
La tregua firmata il 17 gennaio 1556, dall’imperatore Carlo V con il re di Francia Federico II, sembrò rianimare i senesi, e di conseguenza i chiusini, ma, di fatto, non portò a niente di concreto. Cosimo De’ Medici era sempre in agguato con le proprie truppe e non abbandonava l’idea di impadronirsi della Signoria di Siena. I due anni successivi, videro Chiusi nella miseria più nera, dovuta principalmente ai tanti soprusi imposti dai soldati francesi che pretendevano d’essere mantenuti alla pari degli ospiti di riguardo.
Poi, il 4 agosto del 1559, fu la fine. Il governo senese in esilio a Montalcino si arrese e consegnò le chiavi della città agli ambasciatori del Duca fiorentino. Chiusi subì la stessa sorte e da allora restò per quasi due secoli sotto il dominio della famiglia De’ Medici.
(1) Deliberazione del consiglio generale del 11 novembre 1552: da “Storia di Chiusi” di Giacomo Bersotti
“…1 – Si provveda il denaro per le molte che ogni giorno si fanno a causa dei sospetti di guerra…4 – Si provveda anche, atteso il molto grano che è portato alla città di Siena, che di esso ne rimanga nella nostra città tanto che sia sufficiente per i nostri cittadini e per i soldati residenti a Chiusi. …- Essendo venuto il Maestro Architetto e avendo egli disegnato nel campo del Magnifico Antonio della Ciaja, verso Borgo a Pacciano, il luogo dove si può fortificare la nostra città e dovendosi per questa fortificazione spendere una buona quantità di denaro, che la nostra povera città non può spendere ne trovare, si provveda in qualche modo….chiunque possiede bene stabili sia tenuto a pagare per intero la gabella del biado che gli spetta…entro otto giorni per la prima quota e il resto entro un mese e chi non paga più di 4 carlini il commissario di guerra senese e gli uomini eletti sopra la guerra abbiano autorità di imporgli una somma a loro piacere e così, in proporzione alle loro possibilità, impongano una tassa a chi non paga la tassa del biado…”
(2) La Balìa era una forma di governo delle repubbliche medievali, istituita per lo più in casi eccezionali. Dotata di potere assoluto, era nominata dal popolo e soltanto per un tempo limitato.
(3) Ascanio Della Cornia, nipote di papa Giulio III, era marchese di Castiglion del Lago e del Chiusi perugino. La ebbe, insieme alla madre e suo fratello Fulvio dal proprio zio Papa nel 1550. Cominciò subito a molestare Chiusi, accampando diritti sul lago che da secoli era proprietà del comune di Chiusi. Nel 1552, con un colpo di mano, approfittando della città indifesa, la occupò con estrema facilità, arrecando molti danni in tutto territorio. I Senesi reclamarono con papa Giulio III, che obbligò il nipote a rilasciare immediatamente la città libera.
Non per niente, la Compagnia d’arme dei Terzieri è intitolata a Santaccio!!!!!!