Nell’inserto culturale della Repubblica di ieri 9 settembre è stato pubblicato un lungo articolo intitolato “Wikicrazia”. Descrive un movimento spontaneo che cerca di cambiare la qualità delle decisioni politiche attraverso INTERNET.
Lo strumento privilegiato di chi opera in questa direzione è il cosiddetto approccio wiki, che fa riferimento a un metodo e a un software nato da poco più di dieci anni e che è noto per un’applicazione conosciuta da tutti quelli che frequentano il web: Wikipedia. Si tratta di un’enciclopedia gratuita e liberamente accessibile costruita da una miriade di volontari e che contiene al proprio interno meccanismi per il controllo della qualità. Enciclopedie in tante lingue costruite in pochissimi anni (Wikipedia in inglese conta ormai 3.700.000 voci e quella italiani più di 800.000) e cresce e si “migliora” giorno dopo giorno.
Pochi anni fa il metodo si è trasferito nel settore della produzione. Gli utenti di un certo prodotto (un’automobile, un computer, etc.) contribuiscono al suo progressivo miglioramento. Il libro”Noi è meglio” di Libert e Spector , pubblicato in inglese nel 2006 e subito tradotto in numerose lingue, è costruito riportando alcune esperienze significative.
Più recentemente molti gruppi spontanei che appunto cercano applicazioni per la decisione pubblica. La filosofia è quella del sistema aperto, dove la pubblicità dei dati, gli “open data” è un fondamentale prerequisito: “ovvero liberare i dati pubblici in modo da generare soluzioni creative dal basso ad annosi problemi”.
E’ un movimento capace di produrre molte esperienze che vengono comunicate e scambiate “alla pari”. Molte falliranno, ma molto probabilmente l’obiettivo comune sarà progressivamente raggiunto.
Fra l’altro, qui a Chiusi, Nicola Giulietti è uno dei principali animatori di Agorà 2.0 che si sta muovendo proprio in questa direzione, lavorando nella costruzione di un software adatto per una vasta gamma di situazioni.
Vorrei anche introdurre un tentativo di applicazione all’urbanistica portato avanti nello spirito della “wikicrazia” da un piccolo gruppo di cui faccio parte e che può contare su un lavoro di ricerca sulla “tracciabilità” della decisione iniziato molti anni fa con un applicazione sul Piano Strutturale di Grosseto.
Attualmente il software immaginato sulla base di quella esperienza viene “tradotto” in un approccio wiki. A differenza, però, di molti dei tentativi in corso che assumono che gli “open data” siano sempre e comunque disponibili, il nostro approccio assume che non necessariamente il centro decisionale è sempre disposto a fornire dati e quindi l’informazione non è necessariamente completa o comunque abbondante.
Quale miglior occasione per sperimentare il nostro lavoro sulle prossime mosse per la formazione del Piano Strutturale di Chiusi dove, lo abbiamo già ampiamente sperimentato, l’Amministrazione comunale di “open data” ne offre davvero pochi?
Fra pochi giorni comincerà il percorso. La possibilità di partecipare sarà offerta indistintamente a tutti e a tutte le forze politiche interessate alla qualità del governo della nostra città. Tutti coloro che vorranno partecipare saranno i benvenuti (per ulteriori informazioni mi potete contattare via email: pscattoni@gmail.com).
Le considerazioni di Enzo Sorbera sono giuste, ma la dimensione del problema dipende dalla scal di intervento. Un’applicazione sul Piano strutturale di Chiusi è gestibilissima.
Un altro aspetto importante, da tenere in conto, è la rilevanza degli interventi rispetto alla proposta presentata. Ci sono due rischi: un’eccessiva proliferazione di “suggerimenti”, tale da paralizzare l’attività di riscontro e riesame – il rischio del flooding, cioè -; e, non da meno, il rischio di interventi che sono irrilevanti tecnicamente o sono magari il risultato di elaborazioni rétro 🙂
Si tratta di aspetti apparentemente controllabili, ma, in realtà, presuppongono uno staff di gruppo che sia operativo in maniera continuativa – salvo utilizzare strumenti di spoglio elettronico di quanto suggerito dai partecipanti (ma qui si va nel campo di strumenti fuzzy oriented, di difficile progettazione e ancora più difficile implementazione o, almeno, con costi di sviluppo non sostenibili da gruppi di volontari) -. Non vorrei annacquare gli entusiasmi, ma penso che contribuisca alla riuscita dei progetti anche chi porta un’esperienza “negativa”: è lo studio delle eccezioni che consente di rendere stabile la regola.
Non so se il piano strutturale sia un banco di prova adatto per uno strumento che anche Giulietti definisce poco friendly . Intanto la sola analisi del piano richiede un livello di competenza che non è così diffuso. Inoltre un piano presenta punte di interesse economico e di “ideologizzazione” che possono scatenare flames poco positivi. Mi auguro di sbagliare.
Ho letto tutto il “piano” previsto dal wiki di Giulietti e mi pare che ci siano molte idee chiare (l’affidarsi ai gruppi, le strategie di presentazione delle proposte, il meccanismo di “votazione”, la tutela dei partecipanti, ecc.). Rimarrebbe qualche punto da chiarire in merito al problema del diritto di accesso al materiale che i gruppi devono garantire (almeno ai loro aderenti). Io disciplinerei l’accesso secondo una modalità codificata, in maniera da non ammettere deroghe o furbate. Intanto, il materiale da discutere deve essere disponibile/accessibile tutto, in maniera da avere un quadro quanto più possibile completo. Inoltre, il materiale deve essere fruibile (ad es., occorre definire formati standard ammessi per i files prodotti) ed eventualmente “manipolabile” (quindi, non formati chiusi, ma formati aperti). Inoltre, ogni modifica apportata al materiale dev’essere immediatamente resa
disponibile a tutti i componenti del gruppo. Last but not least, l’informazione deve essere ricercabile (sulle insidie che si aprono anche per le migliori intenzioni, per non appesantire il discorso, si veda il mio intervento su chiusiblog in materia di wireless e partecipazione). C’è un altro aspetto che Giulietti non mette a fuoco ma perché riguarda principalmente i moderatori/coordinatori dei gruppi: la coesione del gruppo in un contesto virtualizzato. C’è il rischio di veder naufragare il gruppo proprio perché manca nel web una caratteristica vitale del nostro modello culturale: l’interattività personale, il rapporto vis-à-vis. Il rafforzamento del legame di gruppo e l’idea di appartenenza è un nodo cruciale: su web non c’è il meccanismo “del caffé” che consente un interazione distensiva e cementante. Occorre trovare dei sostituti. Ma su questo, non ho quasi niente da suggerire, salvo, appunto, il mettere in guardia. Ma sono saltati i limiti assegnati! Continuerò in seguito, in un altro post.
Grazie Paolo per l’invito, cercherò di partecipare anche per vedere come funziona l’approccio che proponi. Non era mia intenzione criticare il tuo lavoro: il wiki è uno strumento potente e certamente adatto per diverse applicazioni.
certamente il wiki va adattato, ma il software (gratuito) mediawiki è molto avanzato e permette adattamenti alle specifiche situazioni. Comunque, Nicola, spero sarai con noi per la sperimentazione sul Piano strutturale di Chiusi che lanceremo fra qualche giorno.
Ho notato con piacere, alcuni mesi fa, che qualcuno aveva avuto l’idea di proporre in questo blog delle pagine wiki nelle quali scrivere un programma di governo a più mani per l’amministrazione comunale.
L’idea da cui siamo partiti più di un anno fa io e gli altri volontari del progetto Agorà 2.0 era inizialmente simile a quella: realizzare un wiki nel quale gli utenti potessero sintetizzare le proposte emerse in dibattiti fisici o virtuali, in contesti politici o associativi; una sorta di “verbale” di nuova generazione, insomma, che assicurasse trasparenza e democraticità e consentisse al contempo di “tirare le somme” di incontri e discussioni che spesso rischiano altrimenti di rimanere sterili.
I wiki (almeno nella versione classica di wikipedia) presentano però alcuni problemi, ed in particolare:
– sono adatti per gestire informazioni di tipo oggettivo, ma risulta macchinoso impiegarli per lo sviluppo di proposte di tipo politico (benché vi siano esperienze in tal senso in diversi paesi del mondo)
– sono strumenti un po’ di nicchia, nel senso che non tutti gli internauti sanno usarli e soprattutto non tutti li sanno usare correttamente e se la sentono di mettere mano sul testo editato da altri; in questo modo possono finire per ridurre la partecipazione, invece che aumentarla.
Dovevamo quindi creare uno strumento che superasse questi limiti. Inoltre volevamo che questo strumento:
– aiutasse ad adottare un metodo semplice, ma efficace, per elaborare proposte costruttive e creative
– valorizzasse le competenze di quanti fanno parte di un gruppo, nonché le esperienze virtuose sviluppate anche nell’ambito di altri gruppi.
Dopo un’analisi approfondita dello stato dell’arte, nella quale ci siamo avvalsi di persone che già si occupavano della tematica dell’e-democracy da anni, abbiamo deciso di dar vita alla progettazione di uno strumento innovativo per sviluppare proposte e programmi con un metodo TRASPARENTE, DEMOCRATICO, COSTRUTTIVO e PARTECIPATO in un gruppo politico o associazione, che superasse i limiti degli strumenti già esistenti.
A questo link ( http://gruppoweb.altervista.org/index.php/1%C2%B0_SEZIONE_-_Un%E2%80%99introduzione_al_progetto_%E2%80%9CAgor%C3%A0_2.0%E2%80%9D) potrete trovare delle informazioni aggiornate sul nostro progetto: a voi dire se siamo riusciti almeno in parte nell’intento.
Non è mai stato off topic. Io sono molto cauto sui modelli “globali” di parteipazione tramite internet. Sarebbe interessante che al dibattitto partecipasse Nicola Giulietti che è impegnato nella costruzione di uno di questi modelli.
Più modestamente credo che un sistema del genere serva invece su ambiti parziali. Il mio è un approccio di tipo incrementalista. Con il mio gruppo di ricerca credo di aver dimostrato che la tracciabilità della decisi0one è possibile in un contesto abbastanza incline a rilasciare informazione e può essere interrogato in maniera relativamente semplice. Non era così scontato. Vorrei dimostrare che quel processo può essere accompagnato dagli interventi a commento, da un dibattito senza alcuna velleità di rappresentare gli interessi in maniera da rappresentare gtutti gli interessi e i punti di vista. Diciamo che si offre una potenzialità di partecipazione. A questo scopo abbiamo scelto un approccio e un software wiki. Anche in questo caso, se pur in maniera parziale, gli effetti sulla qualità della decisione possonmo essere rilevanti. Infine si vuole dimostrare che un’operazione del genere pouò essere gestita non necessariamente dal “governo” o con ilo suo consenso. Si può fare anche in forma autonoma, massimizzando la poca informazione che filtra da un centro decisionale che intende gestire i processi in forma “riservata” privilegiando alcuni degli attori e non altri. E quale miglior occasione di sperimentazione del Piano strutturale di Chiusi 😉
Ho notato anch’io l’articolo che citi. Ben documentato, ma non cita tutti i risvolti problematici che – in primis gli americani – si sono sperimentati con questo strumento.
Per dirne uno, che la stragrande maggioranza degli interventi (dove erano resi possibili sulla platea americana) erano di lobbies o di soggetti collegati a gruppi di pressione a vario titolo “interessati” (intorno al 95% degli interventi).Ma non semplici cittadini (circa il 4%). Inoltre, su una platea attesa (diciamo 100), hanno fatto interventi solo il 6% degli “attesi”.
C’è quindi molto da rivedere, su questo strumento. Se hai fatto caso, c’era anche un’intervista a Beth Noveck – la pioniera, in materia – che, da quelle di Obama, è passata alle bandiere di Cameron. Cmq, ci sono tutti gli strumenti per quella che tempo indietro avevo indicato come una prospettiva di democrazia “partecipativa” accanto alla “deliberativa”: da quanto scrivi oggi, mi pare che non sia più off topic 🙂