Il testo di questo intervento viene pubblicato dopo che è stato reso noto il testo del comunicato stampa della Unione comunale del PD che avrebbe dovuto sintetizzare il dibattito dei circoli.
Circolo PD di Chiusi Scalo 4/10/2011 Intervento di Paolo Scattoni
Queste mie osservazioni riguardano l’introduzione e le repliche del sindaco nel dibattito del 26 settembre al teatro. Su quella introduzione ho già avuto modo di esprimere brevemente i miei dubbi in quella sede. Oggi vorrei articolare più dettagliatamente la mia posizione anche e soprattutto dal punto di vista politico.
Il primo e fondamentale giudizio politico riguarda i tempi, sono ormai passati quasi 17 anni (gennaio 2005), da quando la legge regionale n° 5 per il Governo del Territorio imponeva da subito la redazione di un piano strutturale per tutti quei comuni che avessero un PRG approvato da più di 10 anni.
Sono invece passati quasi 13 anni (dicembre 1998) da quando il Comune di Chiusi ha avviato per la prima volta il procedimento per la redazione di tale piano. Oggi, il nostro, si colloca in quella manciata di comuni che ancora non si è dotato di Piano Strutturale con l’aggravante del PRG vigente più vecchio dell’intera regione (1974).
Come per ogni attività umana, ma in special modo per l’urbanistica, i tempi non sono una variabile indipendente. Operare dopo tanti anni di ritardo influenza negativamente la qualità dell’operazione. Il ritardo ovviamente non è stato casuale né può essere addebitato a dimenticanza. Ha invece motivazioni politiche che non sono mai state discusse.
Quando, dopo aver contribuito, come tanti altri, alla fondazione del PD, mi sono iscritto, ho immediatamente chiesto con una lettera all’allora segretario dell’Unione comunale di lanciare un confronto sul tema in un contesto diverso e indipendente dall’Amministrazione comunale. Quella domanda non ha mai avuto risposta.
Quello di oggi è dunque il primo passaggio politico con gli iscritti sulla questione Piano strutturale.
Sarà bene allora ripercorrere brevemente più di mezzo secolo di storia urbanistica del nostro comune. Lo faccio non per vezzo accademico, ma perché questa storia spiega bene i ritardi di oggi.
Nel 1956 Chiusi viene inserito nel secondo elenco dei comuni obbligati a dotarsi di PRG. Già precedentemente, però, l’Amministrazione, governata da una coalizione di sinistra dove il PCI poteva vantare una sicura egemonia, aveva espresso questa intenzione.
La redazione del piano fu affidata a Giancarlo Menichetti, un giovane architetto, allievo e collaboratore di Mario Ridolfi, uno dei maestri dell’architettura e dell’urbanistica dell’Italia del dopoguerra.
Prima della redazione del PRG Menichetti mise a punto un Programma di fabbricazione che minimizzava il consumo di suolo e che introduceva, esperienza assai rara per l’epoca, un approccio interdisciplinare (demografo, storico, etc.) pescando competenze nel centro studi della CGIL. Per il PRG adottato si avvalse addirittura della consulenza di Camillo Daneo, uno dei più importanti studiosi della grande transizione agricoltura/industria dell’economia italiana del dopoguerra. In quel piano si scorgono le prime pressioni dell’amministrazione con l’aumento degli indici di fabbricabilità rispetto al PdF, ma soprattutto le previsioni in prossimità del casello autostradale che Menichetti non condivide e che fa firmare dal tecnico comunale.
Quel piano venne dopo le controdeduzioni inviato al Ministero dei Lavori Pubblici per la definitiva approvazione. Ma nel 1965 con una banale scusa venne ritirato. Contemporaneamente dalla sera alla mattina venne revocato l’incarico a Menichetti.
Fu proprio in quel periodo che senza alcun strumento urbanistico si dispiegò la più rozza delle speculazioni. Fu soltanto nel 1967, dopo l’approvazione della legge 765 che il Ministero chiese di provvedere all’obbligo del 1956. Dopo alcuni tentativi dilatori, al fine di evitare il commissario ad acta, nel 1971 fu adottato il PRG. Era un piano incredibilmente sovradimensionato (si favoleggiavano 24000 abitanti dai poco più degli 8000 reali). Il PRG fu approvato dalla Regione nel 1974 con sostanziosi tagli, sicuramente non sufficienti e comunque in parte reintrodotti da successive varianti non sempre di cristallina regolarità.
Sarà il consigliere regionale Stefano Passigli nel febbraio/marzo del 1983 a sollevare la questione presso il Consiglio regionale. Quell’azione fu probabilmente alla base dell’incarico al professor Romano Viviani per una variante generale che se pur redatta, adottata e pubblicata non verrà mai inviata in Regione.
Questa lunga premessa è necessaria per capire che lo stato attuale dell’urbanistica di Chiusi. Il PRG oggi vigente contiene previsioni residue per le diverse destinazioni d’uso (residenziali, produttive, etc.) per oltre un milione di metri cubi.
Veniamo allora alle ipotesi che oggi ci presenta il sindaco. Per quanto riguarda le residenze si fa una previsione di insediamento per altri 2000 nuovi abitanti. Qui occorre introdurre un’ovvia considerazione. Riguarda la relazione fra gli amministratori e il tecnico progettista. Nessuno nega che le scelte urbanistiche in quanto votate dal Consiglio siano politiche, ma sono anche “tecnicamente assistite”? Senza alcuna intenzione polemica si deve sottolineare che di fronte ad un’ipotesi di aumento della popolazione del 25% in arco di tempo di 10/15 anni l’andamento di 60 anni (1951-2011) vede un aumento di appena 150 abitanti, poco più di 2 abitanti all’anno. Anche il numero delle famiglie negli ultimi anni è rimasto abbastanza stabile. Allora un minimo di giustificazione tecnica dovrà pur essere dato.
E’ quindi evidente che il tecnico incaricato dovrà pubblicamente confrontarsi con chi ha qualche dubbio su una previsione del genere.
Ci sono poi alcune scelte ipotizzate dal Sindaco che sono in palese contrasto con la legislazione regionale e i piani sovraordinati. Non si può ipotizzare come fa il sindaco che si debba ricercare la saldatura del centro storico di impianto medievale e il nucleo della stazione sviluppatosi nel Novecento. Allo stesso modo non si può in prima ipotesi prevedere la trasformazione del vecchio dormitorio ferroviario in abitazioni per anziani, perché di nuovo in contrasto con quanto previsto dal Piano di Indirizzo Territoriale della Regione. Anche su questo occorrerebbe un confronto con il progettista incaricato.
Non si può infine affermare che gran parte dell’attuale campo sportivo (in prospettiva sostituito dal costruendo sovradimensionato e mal localizzato stadio) debba essere utilizzato per l’edilizia sociale con funzione di calmiere del mercato dei suoli fabbricabili. Si pensi invece ad utilizzare lo strumento della perequazione per acquisire terreni a tale scopo.
Infine una considerazione sul merito dei processi decisionali. Il Piano Strutturale viene costruito senza che gli interessi che al momento premono per questa o quella scelta emergano in maniera esplicita. La trasparenza e la partecipazione che la legislazione regionale evoca non sono certo perseguite con queste estemporanee iniziative.
A questo punto credo che il dibattito politico sul piano debba uscire all’esterno coinvolgendo forze politiche, gruppi di pressione e tutti i cittadini. Non credo che qualcuno possa obiettare sull’opportunità che le cose qui affermate debbano essere rese pubbliche dagli organismi di partito, ma anche dai singoli militanti.