Il libro che segnaliamo questo mese è su un argomento quanto mai attuale: l’acqua. Non solo perchè il 12 e 13 giugno prossimi ci sarà il referendum ma perchè, in ogni caso il problema dell’acqua espoloso prepotentemente negli ultimi anni, ci accompagnerà nel nostro futuro.
L’acqua è una merce di Luca Martinelli edito da Altraeconomia edizioni, prezzo di copertina 10 euro.
“L’acqua è ormai una merce. E con la benedizione di politici e media si appresta a diventare – da bene comune e diritto di tutti – un affare per pochi. Una torbida verità la cui fonte è la recente riforma dei servizi pubblici locali. Questo libro ricostruisce la storia della privatizzazione dell’acqua in Italia dal 1994 a oggi, dimostrando come e perché la gestione pubblica degli acquedotti può essere la più efficiente. Per tenere, come scrive Erri De Luca nel prezioso testo inedito che apre il libro, “il conto delle gocce”. «L’acqua è un bene comune. Privatizzarne la gestione vuol dire mercificare un diritto. Ma un diritto non si vende, semmai si tutela. Se il mercato vuol farci pagare l’acqua, come fosse un prodotto qualsiasi, noi rispondiamo: l’acqua è già nostra, l’acqua è di tutti noi».
Luca Martinelli è giornalista e redattore del mensile “Altreconomia”. Ha svolto ricerche in ambito universitario sulla privatizzazione dei servizi pubblici locali. Esperto delle tematiche legate all’acqua è anche autore di “Imbrocchiamola. Dalle minerali al rubinetto, piccola guida al consumo critico dell’acqua”.
Il libro che ho segnalato è del marzo 2010. Oggi l’ho trovato in libreria in una nuova edizione con il titolo: L’acqua (non) è una merce.
Ci sono alcuni nuovi capitoli relativi al referndum e costa 12 euro.
Per chi vuole approfondire l’argomento merita ancora di più.
Gli esempi riferiti alla nostra “rossa” Toscana sono riportati anche nella nuova edizione e dimostrano come il futuro privatizzato da noi è già presente da un bel pezzo.
A dire il vero dalle bollette ce ne eravamo già accorti.
Il fatto che paghiamo tutti i servizi “privatizzati” assai più cari di quando erano pubblici evidentemente non rappresenta ancora un motivo valido per un ripensamento.
Però alcuni anni addietro c’era anche chi si era invaghito della sanità privata (ci facciamo una bella assicurazione… ve lo ricordate?). Oggi non se ne sente più parlare.
I fatti, si sa, hanno la testa dura. Non disperiamo.
Mi si risponda ad una semplice domanda: perchè il pubblico (se è vero) gestisce male un bene pubblico come l’acqua ed un privato lo gestisce meglio? Mi si risponda alla perchè il pubblico non possa gestire l’acqua nella maniera dei privati, non nel senso di ricavarne utili e profitto, ma essendo l’acqua un bene ”supremo” appare chiaro che debba essere gestita con fine pubblico e debba appartenere al pubblico, sia concettualmente che eticamente, sia la sua stessa gestione. Rappresenterà un costo per la collettività (questo sì) ma per quale motivo debba essere un costo superiore di quello messo in campo dal privato lo dovrei ancora capire. E’ semmai il privato, che si muove solo se ha un profitto che entrerà nelle sue tasche, che costerà più al pubblico, cioè a tutti noi! Se si guarda il problema da questa angolazione -quella più normale- non mi appaiono tante discrasie. In definitiva perchè il pubblico non può fare le stesse cose del privato sia a livello organizzativo, progettuale, esecutivo ed infine di gestione di questa risorsa? Dove stà scritto che tutto questo non lo possa attuare ? Credo che per decenni siamo stati schiavi di un concetto che i media ci hanno inculcato e cioè che il pubblico non funziona ed il privato invece si. Se domandi all’uomo della strada, che ormai ha introitato e digerito la questione, risponde dando fiducia al privato e il privato si avvale di questo. Diciamo che il pubblico deve essere esente da intercessioni politiche, dall’elargizione di posti di lavoro di natura clientelare; è lì che bisogna mettere il lucchetto. Quanto al privato rimane valido sempre un vecchio detto: ”è difficile far capire qualcosa ad una persona il cui stipendio dipende dalla facoltà di non capirla”… O no?