Quando Chiusi sbarrò la strada a Garibaldi

di Fulvio Barni

Questi gli eventi del luglio 1849 secondo le versioni garibaldina e chiusina.

Nelle sue Memorie autobiografiche” Garibaldi riporta testualmente queste parole in proposito:

“…Due soldati della cavalleria nostra, che vi andavano in esploratori, furono catturati dai contadini del Vescovo di Chiusi. Di un Vescovo, capite bene! E se non erro, Chiusi ha ancora un Vescovo oggi che siamo nel 1872! Io reclamai quei miei prigionieri, che certamente credevo in pericolo nelle unghie dei discendenti di Torquemada(1) e mi furono negati. Feci marciare allora per rappresaglia tutti i frati di un convento alla testa della colonna, minacciando di farli fucilare; ma l’Arcivescovo, duro, fece sapere che molta stoffa v’era in Italia per far dei frati e non volle restituirmi i prigionieri. Credo inoltre che egli desiderasse l’eccidio di quei suoi soldati per spacciarli poi alla canaglia come tanti Santi Martiri. Io sciolsi i frati allora…”

La versione chiusina, invece, è di ben altro avviso e potrete leggerla di seguito in quella che fu la stesura del verbale del magistrato comunale. Non l’ho trascritto integralmente perché mi sono subito reso conto che sarebbe stata una cosa piuttosto noiosa, perciò ho provato a farne un riepilogo.

Il documento, infatti, oltre ad essere redatto in lingua italiana di metà ottocento e quindi di non facile lettura, è anche piuttosto prolisso nel descrivere ogni singolo evento. Per questi motivi ho cercato sia di riassumere sia di rendere più accessibile il tutto, in un italiano un po’ più vicino al nostro.

Luglio 1849- Garibaldi- Comunità di Chiusi.

il governo della Toscana voleva essere previdente e aveva stabilito prontamente una vigilanza ai confini con lo stato pontificio…Le informazioni che giungevano dai paesi vicini a Roma parlavano della presenza nei dintorni di Todi di avventurieri, (così il magistrato chiama i garibaldini n.d.r.) inseguiti dai soldati francesi fino ad Orvieto. In seguito ci fu fatto credere che quegli sbandati, guidati da Garibaldi, fossero stati battuti e quasi totalmente dispersi. Il giorno 14, invece, fummo informati che un consistente numero di soldati a cavallo si aggirava nelle vicinanze di Città della Pieve e che dalla locale popolazione avevano preteso il versamento di una somma ragguardevole. Qualche timore allora venne anche a noi di essere visitati da quella gente.

Restammo con la paura di essere attaccati fino alle due pomeridiane del giorno 18, quando fu avvistata una discreta quantità di garibaldini che dalla strada di Cetona veniva alla nostra volta. Fu allora fatta suonare la campana generale. Tutti accorsero alle armi e si piazzarono ai posti di difesa. Alcuni picchetti di bersaglieri volontari si spinsero fin al di la dell’ultima barricata e si scontrarono con i nemici, che in parte respinsero. Furono presi e condotti in città dieci prigionieri. Interrogati dagli ufficiali volevano far loro credere che fossero disertori o congedati da Garibaldi. Erano in verità tutti esploratori, se non addirittura un’avanguardia regolare diretta a qualche scoperta. Eravamo però certi che Garibaldi stesse approntando una rappresaglia contro di noi. Voleva farcela pagare per l’arresto della sua gente, specialmente dei due lancieri, ma anche rifornirsi di viveri e foraggi. Tanto è vero che la mattina del 18, durante il suo trasferimento a Sarteano, fece arrestare tutti i religiosi, sacerdoti, novizi e laici dell’ordine dei Minori riformati di San Francesco del Convento situato appena fuori Cetona (Frateria di Belverde).

Prese poi uno di detti ostaggi e lo inviò a Chiusi, perché impegnasse il Vescovo ad ottenere la liberazione dei due lancieri arrestati il giorno avanti. Questo messo giungeva a Chiusi il 19 senza alcun foglio o nota di richiesta. Recava con se solo un lasciapassare sul quale era scritto: “Dio e Popolo” e nel contorno: “Prima divisione”, seguito da questa dicitura: “Le guardie del campo lasceranno passare…il quale si reca a Chiusi per affari noti al sottoscritto”, firmato: Giuseppe Garibaldi. Il religioso fu accompagnato dal Vescovo e informò il prelato delle richieste del generale: immediato rilascio dei suoi uomini pena la fucilazione di tutti gli ostaggi. Nella stessa mattina del 19 arrivarono a Chiusi, di rinforzo alle truppe già presenti due compagnie di linea del primo reggimento toscano. Il Vescovo si presentò subito da lui, essendo questi al momento l’ufficiale più alto in grado, chiedendo il rilascio dei garibaldini prigionieri per evitare torture e rappresaglie nei confronti dei religiosi del convento Cetonese. Il Maggiore rispose che non era sua competenza trattare con i ribelli senza autorizzazione del Governo superiore. Al frate fu consigliato di non ritornare da Garibaldi ma di trattenersi in Chiusi per sottrarsi alla prigionia e ai maltrattamenti cui sarebbe stato esposto, dato il non favorevole esito della sua ambasciata. Sapemmo in seguito che Garibaldi aveva deciso di assalirci all’alba del giorno 20. Ciò che però gli fece cambiare idea furono le informazioni inviategli tramite un cavaliere da un suo ufficiale pratico della zona uscito in perlustrazione il 19. Egli, infatti, riuscì a mettersi in contatto con un suo conoscente del posto, che lo informò segretamente circa il numero dei soldati presenti a Chiusi.

Un’ora dopo, lo stesso soldato che aveva portato a Garibaldi il messaggio, recò indietro un foglio sigillato. In questo era scritto l’ordine di ritirarsi poiché la guarnigione al completo partiva per Montepulciano seguendo la via per Chianciano. Lungo il tragitto dello spostamento fu fatto prigioniero un nostro concittadino, Agostino del Segato, volontario della guardia civica, rilasciato poi nei pressi di San Marino. Il giorno 22 la staffetta postale di Lucignano portava notizia che Garibaldi temendo di incontrare resistenza verso Arezzo era retrocesso passando per la via di Castiglion Fiorentino e Cortona fino a Pozzuolo. Nei due giorni successivi alla partenza di Garibaldi da Montepulciano furono disfatte le barricate e riaperte tutte le strade d’accesso alla città. Nulla più accadde invece, solo di tanto in tanto era avvistato qualche drappello sparuto, che si aggirava nelle nostre campagne allo scopo di procurarsi il necessario sostentamento. Questi furono i fatti precisi, non abbelliti, nè diminuiti nelle circostanze relative a quei fatti.

Chiusi 30 Ottobre 1849”

Diciotto anni dopo, esattamente il 24 agosto 1867, Giuseppe Garibaldi, non rimanendo insensibile agli inviti dei suoi sostenitori chiusini (praticamente si trattava degli appartenenti alla Società Operaia(2) del luogo), arrivò in città e fu ospite del sindaco Lucioli nel palazzo di famiglia in via Porsenna. Reclamato a gran voce dalla folla che si era radunata sotto le finestre del palazzo si affacciò e così si espresse: “…Quando nel luglio del 1849 volevo venire a Chiusi voi non mi voleste…” A quel punto una voce maschile si levò dai presenti che lo osannavano: “I preti…furono loro che non ti vollero”. La voce era quella del “Tenia”. Tipico personaggio del luogo. Tenia era ovviamente un soprannome affibbiatogli dai chiusini. Apparteneva alla famiglia Meloni, di mestiere faceva il bracciante e il barrocciaio. Gran lavoratore, bevitore e mangiapreti. Di ben altro avviso era invece la stima nutrita dalla parte clericale nei suoi confronti. Dicevano, infatti, che facesse il contrabbandiere tra lo stato pontificio e toscano. Incolpato addirittura di aver ucciso un doganiere dell’ex Granducato di Toscana.

(1) Tomàs de Torquemada (1420-1498) Domenicano spagnolo, confessore di Ferdinando d’Aragona e di Isabella di Bastiglia; nel 1483 per conto dei re cattolici organizzò l’inquisizione spagnola e la resse con inflessibile durezza. Perseguitò specialmente gli ebrei, ottenendone (1492) l’espulsione dalla Spagna

(2) La Società Operaia di Chiusi fu istituita nel 1865. Fondata da elementi propendenti verso idee sociali molto avanzate. Lo scopo principale era quello di mutuo soccorso tra lavoratori.

Questa voce è stata pubblicata in CULTURA. Contrassegna il permalink.

19 risposte a Quando Chiusi sbarrò la strada a Garibaldi

  1. fulvio barni scrive:

    Sappiamo con certezza che alla “Breccia di Porta Pia”, l’azione di forza delle truppe regolari del regio esercito italiano che permise la presa di Roma, avvenuta il 20 settembre 1870, combatterono due chiusini: Morgantini Leopoldo e Nofroni Giovan Battista. Per questo ci viene in supporto l’archivio storico di Firenze dell’arma dei Carabinieri. Per quanto riguarda i garibaldini chiusini è più difficile arrivare alla verità di quanti furono. Non dimentichiamoci che eravamo sotto il regno di Toscana e quindi chi si unì a Garibaldi lo fece nella massima segretezza. Insomma, nell’archivio comunale non esiste un vero e proprio elenco.

  2. marco lorenzoni scrive:

    Come è facile divagare… Fulvio è partito da Garibaldi e la discussione è arrivata ai giorni della liberazione nel 1944… con un salto di quasi 100 anni…
    Torniamo a Garibaldi: chi ha notizie certe su quanti furono, in effetti, i garibaldini di Chiusi? Su primapagina abbiamo parlato dei 4 che sono citati come tali nelle lapidi del cimitero… ma sicuramente furono di più: quanti, e quali i loro nomi? Sarebbe interessante saperlo, perchè anche da quel numero, si capirebbe meglio qual era l’aria che tirava a Chiusi intorno alla metà dell’800… Se erano più gli oscurantisti e i clericali o i “democratici”, liberali e progressisti…

  3. carlo sacco scrive:

    Per Bischèri: dimenticavo anche di segnalare un’altra raccolta di notizie molto utili per quanto concerne le ultime ore di Chiusi sotto l’occupazione tedesca. Esiste una documentazione molto interessante sotto l’aspetto cronologico degli avvenimenti dove si è riuscito a ricostruire anche l’ora degli avvenimenti stessi, soprattutto dalle testimonianze e riferimenti ai movimenti delle persone.
    Il volume è stato redatto dal nostro concittadino Stefano Bistarini, segretario locale dell’ANPI ed il titolo è: ” Perchè gli altri non dimentichino”.
    Da pag.139 in poi si possono leggere gli avvenimenti a cadenzatura, addirittura, quasi di ora in ora. Un documento incredibile, soprattutto per il merito dell’assemblaggio degli avvenimenti che si dipanavano in luoghi diversi e nella continuità temporale. Buona lettura.

  4. carlo sacco scrive:

    X Bischeri: La soluzione ai tuoi enigmi su quanto avvenne a Chiusi si trova da pag.83 in poi del libro di Giulietto Betti dal titolo ”Chiusi 1943-1946” , dove è raccontata con testimonianze assolutamente attendibili tutta la battaglia di Chiusi, inclusa quelle del teatro e relativi annessi, i movimenti di truppe e vicissitudini delle persone, anche se vi sarebbero da apportare modifiche per oggettiva verità storica a quanto contenuto a pag.41 e 42 relativo alla SIMAR di Marenco su quanto riportato da Loris Scricciolo.Ma questa come diceva Pupo-è un altra storia.

  5. marco lorenzoni scrive:

    Per Bischeri. I fatti sono la storia. E la storia è quella citata nei documenti, nelle testimonianze, nelle ricostruzioni degli storici… Il chiacchiericcio è altra cosa, come spiega Barni. Non si può escludere che un chiusino possa aver avvertito i tedeschi dei movimenti degli alleati… (qualche fascista convinto ci sarà stato), ma di imboscate, davvero non vi è traccia nella storia scritta e nemmeno in quella tramandata…
    Circolano se mai altre congetture (che ho ripreso in un mio romanzetto del 2009) circa presunti accordi segreti tra Inglesi e tedeschi durante la battaglia di Chiusi, strani incontri presso la Fortezza, strani personaggi da una parte e dall’altra, comuni tendenze “esoteriche”… Su queste qualche riscontro esiste…

  6. fulvio barni scrive:

    Mi sono dimenticato di aggiungere che il Valdambrini fu ucciso dal carro armato mentre, insieme ad altri volenterosi, stava facendo la spola per trasferire i ricoverati dall’edificio dell’ospedale, ormai reso inagibile dai bombardamenti, agli scantinati del palazzo Casuccini. Quei sotterranei che oggi ospitano parte del museo civico che ha l’ingresso in via Baldetti

  7. fulvio barni scrive:

    X Mauro (Bischèri). La persona morta per schiacciamento da carro armato tedesco, per la precisione si trattava di un modello “Tigre”, non era un ricoverato, bensì Pietro Valdambrini, portiere dell’allora ospedale Umberto I°. Però l’edificio non era quello dove si trovava il più recente che è stato chiuso negli anni 80 del novecento, ma quello situato lungo tutta la salita di via Lino Moretti. Vale a dire l’edificio che ancora oggi i vecchi chiusini chiamano l’ospedale vecchio. Questo successe il 22 giugno 1944 ed il luogo dove accadde si trova in via Porsenna, tra il negozio “Fema”, allora “Farmacia Quadri”, ed il palazzo Baldetti. Io stesso, bambino, ho visto i solchi lasciati sul muro dai cingoli del carro. Ad un attento esame penso si possano individuare anche oggi, anche se, ormai, non più evidenti, dato lo strato di smog che ha reso tutto uguale il colore delle pietre che formano la balza a piano terreno del palazzo stesso.

  8. Mauro Bischèri scrive:

    sono molto incuriosito di sapere ciò che accadde realmente in quei giorni, l’idea che io mi ero fatto era influenzata dai racconti di mia nonna, che ricoverata in ortopedia a Chiusi con un’ingessatura dal piede alla coscia scappò insieme a suor Ermanna e a altri 2 ammalati (di cui uno fù schiacciato dal carro armato tedesco), il giorno della sparatoria del teatro.
    Attendo con impazienza i pezzi di Fulvio Barni

  9. fulvio barni scrive:

    Penso che Mauro (Bischèri) si riferisca a quanto si vociferava tra la gente di Chiusi non appena passato il fronte, ma, per quanto si sappia, non c’è niente di certo. Per coprire la loro ritirata, i tedeschi avevano lasciato alcune mitragliatici piazzate e un carro armato che faceva la spola tra collina del cimitero e quella della fortezza, così da sembrare che ve ne fossero più d’uno. Gli errori degli alleati cui faceva cenno Marco (Lorenzoni), sommati a quell’andirivieni del mezzo che a volte taceva per poi sparare da un altro luogo, fece loro pensare a chissà quanti mezzi avessero gli occupanti all’interno della città. I partigiani, venuti a conoscenza della realtà, o come molti dicevano allora, qualche chiusino con tanto coraggio, attraversarono le linee ed andarono ad avvertire gli alleati fermi a città della Pieve. Causa la cruenta battaglia che avvenne da lì a poco, data anche l’ottima posizione dei tedeschi, passò tra la gente il messaggio che un traditore chiusino avesse raggiunto i tedeschi in fuga e li avesse avvertiti dei sud-africani accampatisi all’interno del teatro. Ma non si trattò di un’imboscata, bensì di uno dei tanti errori che venivano commessi da chi non conosceva la zona in cui operava e dati i momenti concitati per il frastuono delle cannonate contrapposte.

  10. lucianofiorani scrive:

    XBischèri. In programma ci sono due pezzi di Fulvio Barni, il primo sull’occupazione tedesca di Chiusi e l’altro sulla battaglia che fu combattuta nella nostra città.
    Verranno pubblicati tra un po’ perchè abbiamo deciso di dare cadenza settimanale (sempre la domenica) ai suoi scritti di storia chiusina.

  11. Mauro Bischèri scrive:

    Per Lorenzoni: io ricordo di aver letto qualcosa in proposito tanti anni fà ad una mostra allestita a Chiusi, dove il comandante (sudafricano è vero) racconta che appena entrato a Chiusi, ebbe la sensazione che i tedeschi se ne fossero già andati ed invece era il preludio di un’imboscata da parte dei tedeschi con la complicità dei chiusini.
    …sicuramente Fulvio Barni conoscerà i fatti.
    Illuminaci Fulvio!

  12. marco lorenzoni scrive:

    A proposito di quanto scrive Bischeri: non mi risulta che i chiusini abbiano teso imboscate agli alleati nel ’44, per aiutare i tedeschi occupanti. La città era occupata e a resistere all’avanzata alleata (non americani, ma sudafricani dell’esercito britannico) furono i paracadutisti tedeschi della Herman Goering.. Gli alleati sbagliarono delle manovre per errori sulle mappe e approssimazione, per questo la “liberazione” della città fu più complicata del previsto e la battaglia fu dura… ma furono comunque aiutati dai partigiani. Di imboscate chiusine o atteggiamenti ambigui in tale frangente io non ho mai letto nulla…
    Tra l’altro anche i repubblichini a Chiusi, nei giorni del fronte, erano ormai praticamente inesistenti…

  13. marco lorenzoni scrive:

    Sull’ultimo numero di primapagina abbiamo pubblicato un articolo su 4 chiusini che, giovanissimi, seguirono Garibaldi e i garibaldini: Leopoldo Fanciulli, Leopoldo Guazzini, Giuseppe Fei e Felice Toppi, tutti sepolti nel cimitero di Chiusi con tanto di citazione “garibaldino” nella lapide… Dai cognomi, tra l’altro si evince che erano chiusini doc… E non furono gli unici.
    Non tutti insomma si comportarono come il vescovo e come i nostalgici reazionari che si opposero fino alla fine al cambiamento e si dimostrarono – rispetto allo stesso Granduca – più realisti del re… Il fatto che a Chiusi ci fu una certa resistenza militare verso Garibaldi fu determinato anche dalla posizione geografica della città, posto di confine e luogo di stanza di una guarnigione regia… In altri paesi limitrofi non c’erano reggimenti o guarnigioni da schierare…

  14. Grandissimi…
    grande il vescovo……
    avessero preso garibaldi sarebbe stato anche meglio!!!!!

  15. carlo sacco scrive:

    XMauro Bischèri. Non mi sembrano episodi simili e l’atteggiamento diverso non è dovuto alla natura del popolo chiusino. La questione garibaldina si dipanava in un contesto dove esistevano dei poteri strutturati da secoli (Stato della Chiesa, Regno di Toscana) che avevano annusato l’aria nuova che tirava e che si poteva tramutare in tempesta: i garibaldini non ne erano che un esempio. E i poteri correvano ai ripari. Chiusi non faceva eccezione poichè pur non facendo parte dello Stato della Chiesa, la stessa vi regnava ugualmente ed era presente con le proprie strutture e quindi con influenza sulla gente. La guerra mondiale e la resistenza tedesca del ’44 agli alleati avveniva in un contesto che vedeva i tedeschi in ritirata, in una terra che prima era loro alleata e dove parte della popolazione li appoggiava o li tollerava.
    20 anni di fascismo avevano lasciato nelle persone un modo di pensare e di vivere autarchico, corporativo, individualista…, anche perchè la dittatura raccontava ciò che gli tornava comodo. Gli Anglo-Americani sono stati i più grandi distruttori di strutture italiane non i tedeschi. I chiusini come altri, subirono gli uni e gli altri. Ma era inevitabile. Anche questa è stata una grande responsabilità del regime che, per seguire il sogno pazzoide di Hitler aveva messo nel conto che la guerra potesse passare anche nel territorio italiano. E così è stato.

  16. Mauro Bischèri scrive:

    Che strano popolo i chiusini, sempre sempre in controtendenza: arriva Garibaldi osannato e appoggiato da tutti i paesi della Valdichiana e Chiusi lo respinge!
    Quando invece arrivano gli alleati americani per liberare Chiusi dagli oppressori tedeschi, i chiusini appoggiano i tederchi per tendere la famosa imboscata agli alleati nel 194…..non ricordo.
    Fulvio raccontacela tu!

  17. Forse è anche bene osservare che “l’unità del’Italia” non è mai avvenuta! C’erano i Siciliani che erano stufi dei “padroni” ed insorsero. C’erano i Napoletani che erano stufi dei padroini ed insorsero. C’erano i Genovesi che erano stufi dei padroni ed insorsero, e via dicendo. Un pò quello che sta succedendo nel mondo ora dove ci sono regimi oppressivi, la gente ne è stufa ed insorge, vedi l’Arabia per esempio. Che poi, da noi, la Monarchia (per carità!) abbia sfruttato il momento per “prendersi” l’italia con la scusa dell’unità della Nazione è un altro discorso.
    Rimane il fatto che Garibaldi ed il resto non hanno unito l’Italia che è stato sempre un Paese di “campanili”.
    Forse il riconoscere questo potrebbe far si che i vari “campanili” si uniscano sotto un unico campanile che non sia quello rappresentato dalla Nazionale di Calcio o dalla Ferrari.

  18. pscattoni scrive:

    Fulvio, ottimo lavoro! Il confronto fra documenti provenienti dai punti di vista dioversi e come in questo caso contrapposti è alla base di un’interpretaziobne storica seria che vada al di là dell’ideologia.

  19. carlo sacco scrive:

    Ognuno ha la propria versione ed il proprio punto di vista,ma fra le carte- se lo si vuole- c’è di che trovare una oggettività che è quella che una analisi sui fatti debba comprendere le situazioni e le condizioni per le quali avveniva quanto abbiamo letto da queste poche righe. Ed è sempre la stessa storia del potere e dell’anelazione al miglioramento della vita che spinge la gente ad essere più sensibile alle istanze che la possano liberare dal giogo economico e morale del potere, sia di quello-nel caso di allora – dello Stato della Chiesa trasmesso direttamente od indirettamente attraverso le pastoralità e feudalità agrarie, sia quello dell’architettura politica ed economica di uno stato(chiamato progressista nei confronti di quelli a lui stesso vicini) identificabile nel Regno di Toscana.
    In tutta questa genesi ”la gesta garibaldina” si apre ai nostri occhi per farci riflettere soprattutto sul moto di liberazione che si esprimeva anche in maniera contraddittoria ma nello stesso tempo anche con precisione di dove fosse annidato ”il nemico storico”.
    Non a caso i pochi decenni precedenti avevano visto la formazione e la nascita di due filoni di pensiero attigui e per certi versi simili, che avrebbero condotto anche ad una saldatura volta a cambiare secoli di buio oscurantismo: il pensiero liberale e quello socialista.
    Era chiaro che chi si opponeva a questo usava ogni mezzo. La lucidità politica della risposta dell’Arcivescovo di fronte alla minaccia della fucilazione dei frati in ostaggio ne è un piccolo esempio.

I commenti sono chiusi.