A me piacerebbe, rimanendo coi piedi per terra, cominciare ad analizzare il panorama esistente: cioè chi, come, quando, dove produce cultura e che tipo di cultura si produce. Che “ritorno” hanno le varie iniziative, quanta audience riescono ad ottenere, quanta risonanza sui media…
Nel nostro piccolo come Primapagina, per esempio, qualcosa abbiamo cercato di farla con il Forum Cronache Italiane (quella dove si inseriva la mostra di Uidù, e quella di Carlo Sacco e i cortometraggi di Speedarrow…) e lo facciamo da 5 anni a questa parte, ci sono poi i gruppi che fanno teatro, le presentazioni di libri, gli incontri e le iniziative dell’associazione La Goccia, quelle delle associazioni di volontariato,dei Lions, dell’Università popolare e della Lubit…
Poi ci sono le orchestre, i gruppi rock, i jazzisti, i pianisti, molti dei quali hanno già inciso dischi pur operando in queste lande desolate. Ci sono a Chiusi almeno una quindicina di concittadini che hanno scritto uno o più libri…
Ci sono pittori, scultori, grafici, archeologi, fotografi…
Insomma di carne al fuoco ce n’è parecchia anche in una realtà sonnacchiosa e un po’ alla deriva come Chiusi. Il problema forse è dare un senso a tutto ciò, non lasciare tutto al caso, è “organizzare”, mettere in rete e in relazione talenti, sensibilità, esperienze diverse, trovare momenti di contaminazione e scambio, far diventare le singole iniziative patrimonio di tutti… Basterebbe un contenitore comune? Forse no. Ma farebbe comodo. Un assessorato ad hoc come quello denominato “Sistema Chiusi-Promozione”? Nemmeno, probabilmente. Però se genstito bene…
E allora cosa serve? Secondo me serve comiciare a parlarne, serve provare a mettere in piazza tutta l’argenteria di cui si dispone e vedere l’effetto che fa.
Serve avere l’umiltà di far parlare chi ha qualcosa da dire (in qualunque modo lo dica, anche con un quadro, un libro o una chitarra…) e mettersi ad ascoltare, a guardare, a riflettere…
Per “politica culturale” intendevo proprio quello che specifica Lorenzoni nell’ultimo post.
Fare una ricognizione di quello che c’è in casa è il primo passo. Considerare quello che si è in grado di produrre in loco ed utilizzarlo al meglio permetterebbe un uso più proficuo delle scarse risorse dedicate alla cultura puntando anche su qualche spettacolo di qualità.
La proposta di Paolo Miccichè di una convenzione con l’istituto musicale di Siena è stata lasciata cadere con noncuranza. Quella è un’altra strada da seguire.
Prima o poi (meglio prima) dovrà essere fatta una riflessione sui costi e la qualità della stagione teatrale, tanto per cominciare. Così com’è sa tanto di “pacchetto” pensato altrove.
Insomma di spazio ce ne sarebbe, ci vuole meno prosopopea e qualche idea a verso su cui lavorare.
Un primo passo per tracciare il quadro potrebbe essere un incontro (o serie di incontri) tipo “Stati generali della cultura” a Chiusi, cui invitare tutti coloro che producono qualcosa di culturale (teatro, musica, arte, fotografia, libri ecc…) capire di cosa si dispone e cosa ci si può fare…
In una situazione normale dovrebbe essere il Comune a organizzare una simile assise e se gli si chiede può darsi pure che lo faccia. Se no può farsene promotore chiunque. Anche primapagina, questo blog o una singola associazione… Pensiamoci
Rispondo a Luciano Fiorani. Non intendevo proporre una “politica culturale” per Chiusi, anche se ce ne sarebbe bisogno (più che di nuove cementificazioni, senza dubbio). La mia è più semplicemente una sollecitazione a considerare e valutare ciò che in campo culturale si produce in questa città. Una volta tracciato il quadro sarà più facile anche proporre una politica culturale – ragionata e condivisa – che da lì dovrebbe partire (per spendere meno, valorizzare l’argenteria di famiglia e far crescere il livello generale) senza per questo passare per “protezionisti” o campanilisti… Si può e deve guardare anche altrove, naturalmente, aprirsi all’esterno, ma ciò che si ha in casa è bene conoscerlo… anche per venderlo meglio.
I processi decisionali seguono logiche “carsiche” che non sono quelle della qualità e del buon senso. L’unico mezzo che abbiamo per mutare tutto questo è creare dei movimenti “dal basso” che, essendo numericamente significativi, portino politici e funzionari a optare per scelte diverse. Se diventasse patrimonio comune che la Cultura – oltre ai benefici per lo spirito – può gratificare anche quelli materiali, forse qualcosa potrebbe cambiare di segno. A complicare le cose però ci sono quelli – e sono tanti – che predicano bene e razzolano male……e quindi spesso si torna al punto di partenza.
Sia il commento di Nenci sia quello di Mercanti sembrano una risposta suggellatrice alla posizione che ho sempre avuto al riguardo al mio personale modo di vedere il problema della cultura e delle iniziative messe in atto a Chiusi.
La mia tendenziale prolissità forse ha ingombrato troppo lo spazio e quindi tendo sempre a stancare chi legge ma ciò che emerge dal giudizio in specialmodo di Mercanti sulla non relazione esistente fra lo ”scopo” ed ” il fare cultura” è una fotografia che identifica con precisione le caratteristiche e le condizioni che segnano sempre tale processo nelle manifestazioni avute a Chiusi, o perlomeno le principali.
Per non avere la ”preconfezionatura” occorrerebbe il saper coinvolgere sempre di più dalla base una aggregazione misurata e diretta verso la specificità delle iniziative, metterle alla prova e saperle guidare verso una decisa produttivtà penetrante nel sociale. Così si potrebbe avere una risposta sensata e di livello e la speranza più sicura per un ”ritorno”. Al di la di questo c’è il mercatino etrusco con 10 bancarelle e vendite di lupini, quindi lo specchio della crisi.
Ed alllora quando dico che le contrade non bastano più e mi si risponde che vengono fatte per togliere i ragazzi dal girovagare da un bar all’altro vuol dire che si è rimasti al tempo in cui sono state create e ribadisco che gli scopi all’epoca non erano quelli ma dietro c’era e permane anche oggi un interesse a far sì che le persone si interessino solo di quello. Se si fa finta di non capire allora è inutile anche parlarne.
Visto che si parla di gestione delle risorse culturali, volevo porre un problema specifico sul quale rimugino da tempo, ovvero quello delle mostre all’ex casa del fascio. A premessa dico che di allestimenti dignitosi, in quella sede, ce ne sono stati solo due: la mostra sulla collezione Bonci-Casuccini e un’altra sui bambini nel mondo antico; il resto erano degli obbrobri buttati là senza capo né coda, che non esito a definire prese in giro nei confronti dei visitatori. Non ho visto quella attuale, tuttavia credo di non avere bisogno di farlo per esprimere un giudizio, perché già la tematica di cui parla presuppone un esito fallimentare. Pertanto mi chiedo: prima di tagliare nastri in pompa magna, chi si prodiga nel promuovere, ma soprattutto nel finanziare iniziative di questo tipo, ha mai pensato di chiedere conto del numero di visitatori che hanno avuto accesso a queste mostre? Si è mai pensato di verificare se queste mostre hanno avuto un ritorno se non economico, almeno di puro d’interesse? Sarebbe auspicabile che la cultura venisse prodotta per qualcuno, o no? Ammesso che mostre del genere possano essere definite iniziative d’interesse culturale. Come ho sempre detto, non basta fare promozione se ciò che si offre non è all’altezza della funzione che dovrebbe svolgere.
Penso che mettere in risalto “l’argenteria di cui si dispone” ha un “ritorno” di immagine non indifferente. In realtà un luogo che “crea” o “promuove” cultura denota un particolare “ceto sociale” attivo e non passivo (che fruisce e basta). Persone la cui capacità di analisi critica (e autocritica) le fa muovere, rendendole protagonisti, nell’interesse del sociale più generale, in un confronto/scontro costruttivo e mai fine a se stesso. I nostri paesi, nei loro confini comunali, sono inflazionati di sagre e Rievocazioni storiche che alla fine, sebbene siano presentate con l’alibi dell’orgoglio di appartenenza, la conservazione di una identità e momento di aggregazione, si rivolgono essenzialmente alla sola pancia… poi però si fa fatica (o si perde tempo) a far comprendere le ragioni o le esigenze di un “rinnovamento” rispetto a quel sociale reso “inerte” (o inerme) nel tempo. Se andiamo a vedere i budget che gestiscono molti dei nostri assessori alla cultura ci accorgeremo che non sono altro che briciole disseminate in genere verso l’associazionismo o per l’acquisto di “pacchetti estivi”. Di fatto non c’è relazione tra lo “scopo” e il “fare” cultura. E se penso ai comuni che hanno “strutture” come i teatri e centri polivalenti mi chiedo cos’altro si può fare se non investire nella “qualità” del prodotto da offrire.
In sostanza mi pare di capire che Lorenzoni propone una politica culturale per il nostro comune. Senza spese folli ma cominciando anche a valorizzare quello che si ha in casa.
Invece mi pare che si continui a prediligere il “precotto chiavi in mano”.
Anche su questo versante la vedo scura.
Ormai credo che si sappia come la penso su certe cose.
Giusto o sbagliato che sia un qualcosa su cui discutere, visto che si tratta di sopravvivenza, di Vita. Forse che la TEORIA dell’evoluzione non tratta proprio di questo?
Se noi continuiamo a credere che la Teoria e l’Evoluzione della Vita siano una e la stessa cosa tutte le buone intenzioni del mondo non potranno cambiare le inevitabili conseguenze della nostra credenza.
Per lo meno discutiamone in “full”, poi ognuno deciderà se sono bischerate o altro. A “pezzettini” è molto più difficile rendere l’idea del perchè la Teoria e l’Evoluzione sono due cose completamente differenti.
ho già avuto modo di esprimermi in merito in un articolo sul blog della primavera scorsa. Ribadisco che, anche se fosse solo una spesa, converrebbe spendere in cultura, perchè saremmo tutti comunque più ricchi. Quindi il problema se ci possa essere un ritorno economico o meno non mi tocca. La qualità della vita non si misura solo con i soldi, e nemmeno il valore delle persone (pensiamo ai santoni indiani che non possiedono nulla. Del resto. Personalmente, fin da giovane, dovendo scegliere tra comperare un cappotto nuovo o l’ultimo libro ho sempre optato per il secondo. Il problema è portare la cultura, e possibilmente gratis, anche a chi non ha nemmeno un cappotto, poichè con la cultura crescono le opportunità di comperarsi un cappotto, e questo richiede l’impegno sociale.
Trovo giustissimo il chiedersi quale ritorno abbia ”la cultura”sul territorio e magari sarebbe auspicabile non inquadrare tale ritorno-se c’è-(ed ho i miei dubbi che ci sia)sempre con lo stesso metro rivolto al mero consumo(ristoranti, bar, negozi, hotels ed agriturismo)bensì usare un metro che misuri iniziative di socialità,conoscenza, dibattti, fucine dove si dibattano i problemi, aumentando i livelli di percezione e conoscenza di una comunità.Questo lo identifico come ”un ritorno”.Tanti Comuni circonvicini hanno ormai superato uno scalino dal quale non ritornano più indietro ed anche con la scarsità di risorse che hanno producono livelli di spettacoli, incontri, relazioni e cultura di tutto rispetto. Montepulciano per esempio -se non vado errato- stanzia 500.000 per la cultura, Città della Pieve non ha bisogno di presentazioni.Si sono strutturati vivai di persone che si interessano solo di questo e non a senso unico come succede nel nostro paese dove si fanno certe iniziative e non altre e si devoluiscono fondi che prendono solo direzioni univoche.Ed allora di cosa ci si lamenta se a determinare questo concorrono sempre i soliti interessi di gruppi impermeabili ad altro ? Diciamo sempre che abbiamo un mare di potenzialità(territorio, cibo, etruschi,storia ecc ecc), ma se ci si continua a crogiolarsi sui ruzzi, sui tamburini e sulle ”mangiate”lontano non si va, statene certi….
Questo tema va considerato diversamente a seconda dell’epoca in cui si vive. Un tempo Zeffirelli era ritenuto stucchevolmente “ornamentale” e il Brecht politico, il vero alfiere della cultura teatrale. In questi anni le nostre case sono diventate degli Home Theatre pronte a soddisfare una crescente domanda e offerta di intrattenimento e cultura; con l’avvento di Internet si è formato il cosiddetto “Villaggio globale”, grazie a strumenti che consentono di intrecciare rapporti con chiunque in qualsiasi parte del mondo. Ora è il momento di recuperare due aspetti: la realtà fisica dei contatti interpersonali ma anche – vista la situazione – la loro finalizzazione verso una prospettiva professionale. Tutto questo “tempo libero” in futuro non sarà più disponibile se il mantenimento del Lavoro non consentirà uno standard di vita compatibile. Una delle grandi prospettive per il futuro è quindi quella di “investire nella Cultura”, unico nostro grande giacimento di petrolio nazionale e locale. Arte e archeologia, musica, paesaggio ma anche gastronomia e artigianato sono tra quelle specificità che possono essere, se armonizzate e finalizzate, una grande occasione per il futuro. Ecco perchè bisogna discutere – soprattutto i giovani – del Piano Strutturale per Chiusi; ecco perchè – in questo frangente storico – non vanno distinti troppo il piano del tempo libero da quello della possibile e “bivalente” opportunità di costruire occasioni di nuove professioni per una nuova economia.