Edilizia: è finita un’era, lo sanno tutti ma non il Piano strutturale

di Paolo Scattoni

In questi anni abbiamo visto la fine di un’era: quella che vedeva il settore edilizio, specialmente quello dell’edilizia residenziale, quale volano dell’economia.

E’ stata una fase iniziata nel dopoguerra, determinata da un fabbisogno arretrato, rafforzato prima dalla ricostruzione e in seguito dalle grandi migrazioni dalla campagna ai centri urbani e infine dall’aumento del numero delle famiglie dovuto alla diminuzione dei componenti per unità familiare.

Questi motori sono ormai esauriti e lo stock di edilizia residenziale risulta ormai nella maggior parte dei centri urbani (e Chiusi è fra questi) sovrabbondante.

In questi giorni è apparso un interessante articolo su Repubblica (lunedì 14-inserto Affari&Finanza) dal significativo titolo: Il ‘tradimento’ del mattone, non è più un bene rifugio, investimenti e prezzi in calo”.

L’articolo è accompagnato da tre significative tabelle che qui riportiamo (le fonti sono autorevoli: ANCE, ANCI e CRESME).

Nella prima tabella si vede come le compravendite di abitazioni siano significativamente diminuite dal 2006, in un decennio già di per sé depresso. Lo stesso discorso vale per i permessi a costruire ormai ai minimi dal 1997. Infine il valore delle abitazioni che è calato significativamente.

Il valore di una casa oggi è pari a quella del 2005. Non c’è più la bacchetta magica che aumentava costantemente il valore del mattone.

Allora riprendendo i vecchi dati riportati nella relazione generale del Piano strutturale di Chiusi con meno di 50.000 metri cubi nel decennio passato ci dobbiamo chiedere che senso ha prevederne più di cinque volte tanto.

Non è certo il mercato che lo chiede. Ma se non è il mercato, allora chi?

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10 risposte a Edilizia: è finita un’era, lo sanno tutti ma non il Piano strutturale

  1. pscattoni scrive:

    @ Sorbera. Il problema della composizione degli interessi passa, a mio avviso, dalla trasparenza. la composizione degli interessi invece passa da procedure opache e quindi è impossibile capire cosa avviene. Un processo del genere, credo di averlo dimostrato, penalizza anche nei tempi delal decisione.
    Tornando a Chiusi il Piano strutturale non lascia capire se e cosa si sia mosso in questo senso. Il trasferimento di didritti edificatori determina rendita (spesso in maniera assai consistente); i diritti edificatori (o meglio terreni praticamente inedificabili a edificabili) sono nella potestà del pubblico e allora bisogna capire perché nel terreno x si treaferiscono diritti edificatori e cosa in cambio ne riceve la comunità che li ha trasferiti. Questo può essere fatto attraverso processi partecipativi che accompagnano l’intero percorso delle decisioni e non le finte dell’ultimo momento.

  2. enzo sorbera scrive:

    A volte dispero di riuscire a spiegarmi. Quando parlo della ricerca del “cui prodest” non dico che questa sia un male, ma dico che non può essere il solo elemento guida dell’analisi: l’interesse che contrappongo all’altrui (costruttore o latifondista di turno) è il mio. Pertanto, se l’interesse che si tutela è quello di tizio o di caio, la cosa mi è indifferente se ci guadagno anch’io. Ma se ne sono ostacolato o, peggio, danneggiato, avrò rimedi garantiti dalla legge o cercherò di limitare il danno. Quindi, se riesco a disegnare un’idea diversa e a imporla, perseguo il mio interesse – che sarà (per me) l’interesse della maggioranza (tutti quelli che credo siano come me) -. Se dico quindi che A non va bene, dico che con A si perseguono interessi che non collimano (o, peggio, collidono) con i miei (e non sono solo interessi economici; si veda quanto dice Daria). Se troviamo che sia del tutto collidente, A sarà da buttare perché non “ci interessa” 🙂 e ne faremo un altro. In questo senso, più che “moltiplicare” i piani strutturali, sembra meglio ragionare in prospettiva su quello che ci viene offerto (l’interesse che collima o che collide). L’indicazione del brand, quindi, è uno dei (possibili) modi per delineare strategie di guida a monte rispetto al documento programmatico “Piano Strutturale”; ne anticipa, ne prefigura, ne contestualizza e indirizza gli esiti di programmazione.

  3. Daria Lottarini scrive:

    Spero vivamente che la nostra amministrazione riveda l’idea di sviluppo basata su nuove costruzioni. Oltre a non trovare giustificazione nella mancata richiesta di nuove abitazioni, scelte di questo genere continuano a depredare i nostri territori pregiudicando una risorsa, il suolo, non rinnovabile. Non sembra sia stata effettuato un censimento delle case sfitte e quindi non è realistico parlare di esigenze abitative. Puntare al recupero e valorizzazione dell’esistente e’ veramente una scelta coraggiosa che va verso l’idea di sviluppo sostenibile tanto proclamata e poco attuata. Le recenti tragedie causate dalle alluvioni, hanno origine da scarsa cura dei territori e cementificazioni selvagge, spero si cominci a fare scelte in cui la salvaguardia dell’ambiente e del bene comune prevalgano rispetto ad interessi economici più immediati ma senza ritorno nel nostro futuro.

  4. pscattoni scrive:

    Il comemnto di Carlo (Sacco) indica alcuni temi interesssanti. Nell’approccio che io propongo è che si possano costruire tanti piani quanti sono gli interessi che si confrontano. Una volta identificati i punti di conflitto capire attraverso confronti pubblici ben organizzati se esistono le condizioni per una convergenza oppure rimangono alcuni “piani” diversificati per i quali sarà chi è deputato alla decisione a fare la scelta assumendosene la responsabilità politica.
    Interesse pubblico.per definizione è quello che il decisore preposto (in questo caso il Consiglio comunale) decide che sia. C’è invece da capire come procedere per al ricerca del bene comune. Non può che essere un processo. Quello che propongo è duqnue un possibile percorso per raggiungere lo scopo.

  5. carlo sacco scrive:

    Pur essendo sostanzialmente d’accordo con l’impostazione di Scattoni devo osservare che il possibile percorso del ”Brand” non è del tutto fuori luogo.La necessità del ricorso al ”Brand” in questo caso avviene perchè chi è deputato alla politica non soddisfa tutte le aspirazioni e le visioni della comunità(viste le critiche ed il loro genere).Ma proprio per questo spetterebbe a chi è deputato all’amministrazione della politica trovare strade attraverso le quali si possa esprimere un brand diversificato che si possa contrappore.In pratica favorire la stesura di due piani diversi che contengano tutti e due le possibilità per poi sottoporle al giudizio della cittadinanza,ed investirla di tale responsabilità.Inoltre mi domando il perchè del motivo per il quale sembrerebbe quasi scandaloso chiedersi ”cui prodest”ma siccome del divenire di interessi è pieno il mondo, ditemi perchè la res pubblica non dovrebbe perorare e ricercare continuamente l’interesse pubblico nella sua azione.E’ forse uno scandalo farne cenno perchè sembra che non si perda mai occasione di ribadirlo? In genere in Italia avviene il contrario,purtroppo,non ostante che venga sempre ribadito. O no ?

  6. pscattoni scrive:

    Enzo (Sorbera) non è questione di complotti, ma un piano urbanistico muove sempre enormi interessi. Il modo migliore per affrontarli è quello di portarli a trasparenza per il giudizio di chiunque interessato. Sr non viene fatto questo è importanto capire il cui prodest. E’ un elemento fondamentale per un giudizio.
    Non so invece d’accordo sul marketing territoriale che proponi, non, almeno, all’interno del Piano strutturale.

  7. enzo sorbera scrive:

    Tutto giusto. Le valutazioni che si fanno sono perfettamente coerenti con il piano presentato. Il problema è che, piace o non piace, siamo sempre lì a cercare di tracciare il “cui prodest” – e c’è sempre un complotto possibile -.A mio parere, diventa un esercizio di una critica che si estenua nella ripetizione da grillo parlante.Abbiamo una serie di indicazioni, pensiamo che non siano corrette. Bene. La sfida, a questo punto, è indicare una proposta in positivo. Facciamo un esempio. Di fronte al dramma della crisi e del riflusso, Saint Etienne si inventa “ville de design”: è un marchio che arriva a fine di un percorso cfr. http://www.citedudesign.com (sono molte le esperienze francesi di city branding; cito per tutte, oltre Saint Etienne, Rennes). Allora, se siamo d’accordo, proviamo a lanciare l’ipotesi di un brand per la città, cioè un logo che ne riassuma e ne implichi le caratteristiche. Dalla sintesi del “marchio” avremo una caratterizzazione dei cittadini che vi si riconoscono e che sono individuati da quel “marchio”. Un approccio di questo tipo è un chiaro invito a regolarsi su progetti di vita (per gli individui, le famiglie), ma anche per i politici e le istituzioni.

  8. anna duchini scrive:

    Chi lo chiede? Sicuramente i proprietari dei terreni interessari al cambio di destinazione d’uso. A loro basta che qualcuno gli comprio al terra al nuovo valore.
    I costruttori che utilizzano capitali sospetti e che quindi non hanno il problema dell’invenduto.
    Più oscuro rimane l’interesse del comune nell’area del campo sportivo visto che la monetizzazione, anche dopo il cambio di destinazione d’uso di quei terreni, non è decisiva per il pagamento del nuovo stadio.
    Quanto alla calmierizzazione dei prezzi delle case è chiaramente una favola. Basta andare da una qualsiasi agenzia immobiliare per rendersi conto che i prezzi stanno calando da soli.
    Questo di voler costruire proprio lì è proprio un mistero.

  9. carlo sacco scrive:

    Chi? Secondo me non persone singole, non professionisti senza scrupoli, non squali che fremono al solo vedere il boccone, ma un coacervo di forze variegate che usano la politica-ormai non più degna di tale nome- perchè abbiano ritorni, ed in tali ritorni ognuno vede ,spera e legge il ripagamento e la panacea delle proprie iniziative, speranze, illusioni, indipendentemente se siano o meno destinate ad assolvere un interesse pubblico neanche tanto sapientemente contrabbandato.
    E’ il Mercato, anzi il Capitalismo. Si va dalle categorie che vedono assottigliarsi i loro proventi per la mancata e non più sufficente capacità di spesa delle popolazioni, ai professionisti, agli artigiani, agli impiegati che vedono andare in fumo i loro risparmi di una vita. Un certo medio che per 60 anni ha creduto alla favoletta raccontata durante le stagioni del falso benessere che era lui stesso il motore propulsore dello sviluppo (case di proprietà, piccole aziende, imprenditorialità).
    E adesso? Adesso come ultima speranza, dopo aver messo le volpi a guardia del pollaio che hanno contribuito a depredare, (istituzioni finanziarie, banche, casta dei banchieri), si spinge per contrabbandare che passi l’idea che in loco 2.000 nuove presenze saranno una parte di quel propulsore che re-innesterà lo sviluppo. Credeteci pure, ma quando andrete a verificare i vostri conti il cui saldo è già in rosso perchè il ”default” c’è già nelle cose, non scendete in strada perchè non servirà a nulla.
    Catastrofismo? Forse si, ma l’alternativa non esiste. Se non quella che dopo aver toccato il fondo si ritorni a salire, ma i metodi della risalita non li devono decidere coloro che hanno fatto sì che si sia toccato il fondo del barile. Invece tutto si struttura intorno a noi perchè così sia.

  10. Nicola Nenci scrive:

    Vorrei sottoporre all’attenzione dei lettori del blog questa puntata del programma di Augias.
    http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-648d1a87-b2bb-40a8-ae7d-9f3794620334.html#p=0
    Sicuramente molti lo avranno visto, ma io lo trovo decisamente calzante con i temi che si dibattono sul blog ormai da qualche tempo, ed ho voluto proporlo.
    Personalmente non amo Settis, che io ritengo fra i responsabili delle attuali condizioni del nostro patrimonio culturale e dello stato in cui versano le professioni che operano nel settore culturale (archeologico e del restauro in particolare). Tuttavia nella puntata si dibattono problemi interessanti come quelli del rapporto fra due settori industriali, ovvero quello delle costruzioni e quello della produzione culturale. Su quale investire per potersi garantire un futuro dignitoso?

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